SCUOLA


Uno dei temi centrali del dibattito politico e sociale, in questo periodo di emergenza sanitaria, è l’importanza della scuola in presenza. Improvvisamente, dopo anni in cui i docenti hanno sperimentato il peso di una solitudine sconcertante, vivendo sulla propria pelle l’indifferenza delle istituzioni, ora è improvvisamente chiaro a tutti il valore imprescindibile della formazione e il ruolo fondamentale della scuola nella nostra società.

Si è acquisita finalmente la consapevolezza che il futuro di una comunità passa per l’istruzione e la formazione e che puntare sulla formazione delle nuove generazioni non è un’opzione, ma una necessità, se si vuole ancora credere nel futuro.

La questione delle attività didattiche in presenza, nel periodo dell’emergenza sanitaria, tuttavia, è complessa e necessita di analisi adeguate e calate nelle singole realtà delle istituzioni scolastiche. Fare scuola in presenza è una priorità per tutti, in primis per il personale scolastico, ma è evidente che non basta distribuire una mascherina chirurgica e installare dispenser di gel disinfettante per tutelare quanti gravitano nella scuola, dagli alunni ai docenti, dal personale amministrativo ai collaboratori; soprattutto non possono essere queste le misure per garantire la salute di coloro che, già solo per questioni anagrafiche, rientrano tra le categorie più a rischio per le eventuali conseguenze del contagio. I dirigenti hanno fatto di tutto per rendere sicure le scuole, hanno trascorso i mesi estivi con il metro in mano, per definire le distanze di sicurezza tra i banchi, si sono barcamenati tra ingressi scaglionati e rigidi protocolli di sicurezza da far rispettare per impedire ogni sorta di assembramento, hanno chiesto e ottenuto la collaborazione di tutti per far funzionare una complicata e delicata macchina organizzativa, che vede ogni giorno confluire in ciascun istituto scolastico alcune migliaia di persone, tra alunni, docenti, personale amministrativo, tutti coinvolti nel condividere spazi per almeno quattro/cinque ore di attività giornaliera.

Quale può essere la risposta a tutto ciò? Di sicuro bisogna considerare che i docenti, come i medici, sono esposti ad un alto rischio di contagio. Tuttavia, mentre i medici hanno protocolli di sicurezza elevatissimi, indossano tute, mascherine e visiere, i docenti hanno in dotazione esclusivamente una mascherina chirurgica. Eppure in una classe ci sono mediamente dalle 25 alle 30 persone, tra alunni, docenti di base e docenti di sostegno. Si resta lì per almeno 4/5 ore al giorno e le sole mascherine chirurgiche risultano poco efficaci in una situazione simile. A tale riguardo sarebbe opportuno, per contenere il rischio di contagio, soprattutto tra le categorie con maggiori probabilità di riportare conseguenze gravi nel contrarre il coronavirus, prevedere per i docenti e per il personale scolastico l’utilizzo di mascherine FFP2/FFP3.

Ulteriore problema, che rischia di innescare pericolosi conflitti sociali, non auspicabili in un periodo già così delicato, riguarda il programma di distribuzione dei vaccini. È evidente che bisognerà ipotizzare delle priorità, tra le diverse categorie lavorative, ma non si può ignorare che i docenti, insieme a tutto il personale scolastico, siano alla pari dei medici, esposti in prima linea al rischio di contagio. Ogni docente trascorre quotidianamente dalle due alle cinque ore a contatto con un numero di alunni variabile tra le 50 e le 150 unità.

Situazione che diventa particolarmente rischiosa nelle scuole superiori, dove la platea, che ha un’età oscillante tra i 14 e i 20 anni, rappresenta la categoria considerata più coinvolta nel veicolare il virus, per la scarsa attenzione che i giovani prestano al rispetto delle misure per il contenimento del contagio, soprattutto nella relazione con i coetanei.

Pertanto, se si ritiene opportuno che le scuole restino aperte, perché la didattica va svolta in presenza, sarebbe auspicabile inserire il personale scolastico, insieme a quello sanitario, nella prima trance dei vaccini da somministrare, per tutelare una categoria a forte rischio contagio. Ciò sia per evitare di gravare su ospedali e terapie intensive, sia per garantire il regolare svolgimento dell’attività didattica, per la quale non basta tenere le scuole aperte, ma bisogna agire per la tutela della salute dei docenti e di tutto il personale scolastico, onde evitare di tenere gli alunni in classe, ma i docenti a casa, in quarantena, o peggio in ospedale.

È proprio in questa fase che bisogna compiere delle scelte e stabilire delle priorità. Se il Ministro dell’istruzione continua ad affermare che va garantita la didattica in presenza, probabilmente dovrebbe assumere posizioni altrettanto forti nel tutelare il personale scolastico, considerando una priorità la tutela della salute di lavoratori che, senza grandi difese e adeguati dispositivi di protezione, non hanno esitato a svolgere gli esami di Stato in presenza, la scorsa estate, e non si sono tirati indietro nel corso di quest’anno scolastico, finché è stata svolta l’attività in presenza, ma che oggi hanno bisogno di sentirsi tutelati nel loro diritto alla salute.

Lo SNALS ritiene comunque fondamentale nell’attuale momento di emergenza non amplificare i motivi di conflitto sociale, confidando nel ripristino di corrette relazioni sindacali per le quali dichiara la propria illimitata disponibilità e adoperandosi per offrire il proprio contributo di analisi e di proposta indipendentemente dalla necessità di sottoscrivere o meno un accordo o un’intesa. Lo spirito di collaborazione, in un momento così grave per la comunità educante e per l’intero Paese, si misura dalle scelte sindacali e dalle azioni di lotta concretamente messe in atto e non solo da condivisioni formali di accordi ed intese.

Il Segretario Generale

(Elvira Serafini)

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